mercoledì 30 settembre 2015

La posizione del Partenone nel quadro dell' architettura greca con riguardo all' evoluzione dell' ordine dorico in Attica e nelle colonie

Nel panorama dell' architettura greca, in particolare nell' evoluzione dell' ordine dorico, la figura del Partenone (o tempio di Athena Parthenos) si colloca in una posizione alquanto insolita. Sembrerebbe infatti superficiale definire il tempio in questione come un tempio tipicamente "dorico", nel senso stretto del termine, in quanto nel Partenone riscontriamo una serie di soluzioni a problemi presenti in ogni tempio, risolti nella maturità e nella dimestichezza tipica del "fare architettura in Attica". E' dunque sull' Acropoli, a voler restringere ulteriormente il nostro campo d' azione, che il periodo classico dell' architettura (in particolare il V secolo a.C.) ha partorito le sue migliori creazioni, sempre prendendo con le dovute precauzioni l' aggettivo "migliori".

Il tempio di Athena Parthenos fu edificato fra il 447 e il 432 a.C. sulla parte Sud-Est dell' Acropoli, sul terrapieno che si suole chiamare "colmata dei persiani". Al tempo dell' invasione persiana ad Atene infatti, la maggior parte delle opere dell' Acropoli fu praticamente rasa al suolo e tutti i "pezzi" che non erano ormai utilizzabili, vennero impiegati a riempire il terrapieno a sud, utile per acquisire spazio per l' edificazione del tempio. La decisione di ricostruire i monumenti dell' Acropoli venne presa dopo lo scioglimento, promosso da Pericle, del voto di Platea, avvenuto poco dopo l' omonima battaglia (479 a.C.). Tale voto non permetteva la ricostruzione dei monumenti distrutti, proprio a volerli tenere a monito per i posteri, dell' atrocità di tale battaglia.
Dopo le pressioni di Pericle tuttavia, si riuscì a far partire i lavori per la costruzione del Partenone, i quali però miravano all' erezione di un progetto ben più ambizioso. Infatti, prima dell' invasione dei persiani si stava già cominciando a costruire un grande periptero di 6*16 colonne con edificio centrale analogo a quello del nuovo Partenone. Nel nuovo progetto tuttavia il numero di colonne cambia, peraltro non in maniera proporzionale tra lato e lato, ma semplicemente con l' aggiunta di due colonne sul lato breve e di una sul lato lungo (8*17), conformandosi così al numero canonico di colonne, che prevede sul lato lungo il doppio delle colonne del lato breve, più una.
Pianta del secondo Partenone (sopra), sovrapposta con
quella del vecchio tempio (sotto, in arancio)
Il nuovo Partenone dunque debordava dallo stilobate del vecchio progetto e tralaltro fu necessario utilizzare colonne di diametro maggiore. Due studiosi, Dinsmoor e Hill, hanno rinvenuto nella parte a nord del Partenone, verso l' agorà, rocchi di colonne semilavorati, ovvero le cui scanalature erano state imbastite fino ad una certa altezza. Non sapendo quanti progetti si siano avvicendati prima dell' inaugurazione del Partenone pericleo, non si può affermare con certezza a quale progetto appartengano questi rocchi (si parla addirittura di due progetti prima dell' attuale tempio). Si sa però, che rocchi analoghi furono riutilizzati da Ictino per la realizzazione del fronte esastilo del pronaos e dell' opistodomo del nuovo Partenone, essendo necessari, per la peristasi, rocchi molto più grandi.
Il tempio dunque può dirsi periptero octastilo con edificio centrale esastilo anfiprostilo costituito da pronaos, naos, parthenon ed opistodomo.
Il naos è certamente caratterizzato da una notevole spazialità, che investe l' innovativa sperimentazione del tipo a tre navate divise da un doppio ordine architravato di colonne doriche (10*5) disposte a "pigreco" a voler racchiudere o meglio "abbracciare" la statua criselefantina fidiaca di Athena Parthenos; la navata centrale in particolar modo è larga 10,60 m, superata solo dai naos dei grandi dipteri della Ionia d' Asia. In altri templi nella madrepatria e nelle colonie (Egina, Olimpia, Paestum, Siracusa) il tipo a doppio ordine fu sperimentato, ma senza arrivare ad un' agilità spaziale tale da lodare e raccomandare questo tipo di soluzione. Nel Partenone invece il doppio ordine di colonne conferisce ulteriore solennità alla cella, esaltando la sua centralità e ponendo la figura di Athena come davanti ad una quinta di colonne che ne sottolinea l' importanza, pur non soffocando i volumi come ad Egina od Olimpia. L' ambiente posteriore al naos è il Parthenon, le cui dimensioni risultano quanto mai analoghe a quelle dell' edificio centrale dei Propilei realizzati da Mnesicle tra il 437 e il 431 a.C. Come nei Propilei, all' interno di questo ambiente troviamo colonne ioniche, ora non più in loco, la cui struttura era sicuramente analoga a quelle dei Propilei. Erano nel Parthenon in numero di quattro, a dividere l' ambiente in nove campate identiche.
A questo punto viene da chiedersi perché, in un tempio che avrebbe dovuto fissare il picco di massima evoluzione dell' ordine dorico in Attica, si opta sulla scelta dell' ordine ionico in un ambiente peraltro unico nel suo genere (perché non è né un adyton, né un opistodomo) come il Parthenon. La risposta è, direi tutt' altro che casualmente, riscontrabile ancora nei Propilei, all' interno dei quali, tra due diaframmi di ordine dorico, si stagliano colonne ioniche del tutto analoghe a quelle del Parthenon. Le colonne ioniche, differentemente da quelle doriche hanno la possibilità di variare la loro altezza senza dover allargare in maniera troppo "massiccia" il diametro all' imoscapo. Essendo colonne con proporzione altezza/diametro più slanciata rispetto a quella del dorico, erano dunque più adatte per sostenere soffitti piuttosto alti, come appunto, quelli del Parthenon o quelli dei Propilei.

Vorrei dunque che ci si sposti temporaneamente sul fregio di tale tempio e notare come in questo caso anche il principio/problema del conflitto angolare abbia trovato soluzione in accorgimenti che vanno oltre la sperimentazione dorica operata fino ad allora.

Mentre infatti, nella maggior parte dei templi dorici la colonna angolare si avvicinava leggermente alla sua vicina per stare in asse con l' architrave, con conseguente disassamento del triglifo dall' asse colonna, qui non solo la colonna si avvicina quanto necessario alle sue vicine (trattasi infatti di colonne d' angolo), ma lo fa più del dovuto. A fronte dei 30 cm ca. richiesti per risolvere il conflitto angolare, detta colonna rientra verso le sue vicine di ben 61,5 cm. Ne consegue che il triglifo subisce un disassamento evidentissimo rispetto alla colonna angolare ed un conseguente sfasamento del fregio rispetto alle colonne. Questo disassamento viene tuttavia "distribuito" scemando fino a tornare nullo nell' interasse centrale, per poi aumentare gradualmente man mano che ci si allontana verso le colonne periferiche. Si era riusciti dunque a raccordare fregio e peristasi più di quanto non si fosse mai riusciti a fare prima, perché ora non era una sola colonna, o un solo triglifo ad essere coinvolto, bensì tutto il fregio, che agisce come conseguenza all' abnorme contrazione angolare della colonna periferica. Ma la domanda è questa: perché contrarre l' ultimo interasse di una misura tanto maggiore di quella necessaria? A questo quesito si risponderà a breve.
E' significativo ricordare poi che il fregio del pronaos e dell' opistodomo sono continui,ma presentano sotto la tenia, regulae e guttae in asse con le sei colonne del fronte.
Atene, Partenone, prospetto frontale, lato Ovest. Si può apprezzare, con fine spirito d' osservazione il disassamento del fregio
rispetto alla peristasi di cui poc' anzi si discorreva, nonché la sensibilissima contrazione angolare della prima ed ottava colonna.

Si concentri ora tutta la nostra attenzione sulle colonne doriche della peristasi. Non abbiamo bisogno di univoci dati numerici per enuclearne le particolarità più rilevanti. Sono alte circa 10,4 m, 5,48 diametri inferiori (5,47 per i Propilei) e hanno un' entasi pari a circa 1/600 di diametro, ovvero circa 1,75 cm (su questa misura torneremo più in là). Il numero di scanalature si uniforma a 20 e il rapporto tra l' altezza dell' abaco e quella dell' echino si è stabilizzato sull' unità. Tralaltro ora più che mai negli esempi più significativi di dorico dell' Attica, la plasticità di un echino rigonfio e schiacciato nelle sue prime istanze, si esaurisce in queste colonne, confluendo in una matrice più regolare e diretta, assimilabile ad un tronco di cono.
Atene, Partenone, Particolare del capitello di una colonna
della peristasi
Oltretutto si notano degli anuli in numero di 5 appena sopra l' attacco dell' echino al fusto.

Come detto poc' anzi, questo pensiero non è volto ad enunciare dati numerici reperibili pressoché ovunque da fonti più o meno attendibili, bensì di conferire al punto di vista con il quale si scruta questa meraviglia architettonica, un connotato anche scultoreo, motivando tale approccio nelle parole che seguono.

Come avete potuto leggere poco fa è stato posto il quesito sul perché fosse così contratto l' interasse angolare. E' certamente un dubbio che risulta analogo alla faccenda dell' entasi, che pur tuttavia si distingue per la sua minutezza, ma è anche analogo alla meraviglia che si prova nell' attestare la  misera curvatura che subisce lo stilobate ai lati lunghi (11 cm) e corti (6 cm), misera in apparenza, se raffrontata con le colossali dimensioni dell' intero complesso.
Quello che distingue il progetto di Ictino e Callicrate dagli altri progetti dell' Attica e delle colonie, è la disposizione a dare fortissimo risalto ad una curvatura di 6 cm dello stilobate, oppure ad un' entasi di 1,75 cm, perché ivi collocati ad assolvere un compito ulteriore a quello che avevano svolto fino ad allora. La curvatura dello stilobate trova ragion d' essere nell' ampia gamma di correzioni ottiche apportate al Partenone, tra le quali si rammentano l' inclinazione delle colonne angolari di 10 cm verso l' interno e quella delle altre colonne pari a 7 cm.
L' esiguità di un' entasi così poco pronunciata manifesta, e qui apriamo il nostro ragionamento, il punto di arrivo della sperimentazione dorica, il momento culmine, dopo il quale tutto il resto è imitazione o percorrenza ripetuta di sentieri già esplorati e battuti da altri. Questa summa della perizia progettuale degli architetti è certo riscontrabile anche nella minima curvatura dello stilobate, che però presa singolarmente è un aspetto non nuovo, ma contestualizzata in una generale "distorsione" dello schema retto del tempio come tutti ce lo immaginiamo, rappresenta maturità e perizia nella gestione del campo delle correzioni ottiche.
Tuttavia giungiamo al culmine del nostro climax percettivo proprio nell' eccessiva contrazione angolare dell' interasse periferico. E' qui che finalmente la colonna angolare assume un' identità, un sentimento di appartenenza all' organismo "tempio" e, proprio mossa dall' istinto di appartenenza, anela, in parte inclinandosi, in parte avvicinandosi in maniera evidente, quasi sfacciata, all' unione spaziale della peristasi con l' edificio centrale, cercando di annullare il divario creato dalla presenza dello pteron, che qui costituisce un vero e proprio "vuoto" da superare, uniformando l' unità materica risultante dalla presenza dell' edificio centrale dietro le colonne dalla seconda alla settima, che va di poco diminuendo all' allontanarsi dal centro, verso le colonne angolari, pur tuttavia non sgretolandosi del tutto come poteva accadere per interassi angolari non molto contratti o per templi dipteri, ad esempio.
Allora è proprio vero che in realtà da quelli che possono essere definiti "errori" si va invece ad apprendere quanto un oggetto possa essere unico e degno di nota.
L' approccio scultoreo a cui si alludeva in precedenza è qui adoperato come un "terzo occhio", che va dunque oltre la semplice progettazione architettonica formata da struttura e decorazione, oltre persino l' univocamente determinata "triade vitruviana". Qui si parla un altra lingua, si penserebbe, qui l' ordine dorico è arrivato a tanta maturità e tanto precocemente, da consentire agli architetti di sperimentare novità e singolarità mai riscontrate prima, applicando principi non per forza riconducibili alla sfera dell' architettura, come ad esempio la scultorea "legge dei contrapposti", della quale può essere avvertita un' applicazione insistente nel Partenone.
La mentalità parzialmente scultorea con cui si giunse alla realizzazione del Partenone fà di questo la miglior espressione dell' ordine dorico (pur non canonica, in quanto risente già di influssi ionici, che si trovano qui piuttosto costretti, in un periptero di impianto ancora non definibile a colpo d' occhio come i grandi dipteri asiatici con impianto insistente su maglie regolari), e più generalmente l' espressione massima del topos del tempio dorico, pur avendo come detto prima piccole licenze; ma d' altra parte, è lo stesso criterio per cui definiamo il colonnato di piazza S. Pietro del Bernini, il "portico" per eccellenza (massima manifestazione del topos del portico colonnato), seppure anche in questo troviamo considerevoli deroghe all' applicazione ortodossa dell' ordine dorico trabeato come lo s' intendeva nella trattatistica del Cinque-Seicento.

Se dunque si dovessero collocare in termini di rigore stilistico il Colonnato ed il Partenone, ci si troverebbe spaesati nel dare conto alle innumerevoli citazioni di più scuole di pensiero in entrambe le opere, pur assumendo però che cotali opere appartengono nella loro unicità ad una dimensione progettuale architettonica che annovera pochissimi esempi ascrivibili a diverse epoche, avendo segnato, che piaccia o meno, una tappa ed un momento catartico nell' applicazione delle regole dell' epoca, evidenziando maturità, forte personalità nell' applicazione del linguaggio scelto, ma anche spirito d' innovazione e di inventiva aperto alla novità, quella vera, che non stravolge il vecchio valorizzando il nuovo, ma aggiunge il nuovo in lievi citazioni che valorizzano il vecchio.

Nessun commento:

Posta un commento