martedì 1 settembre 2015

Antoni Gaudì, pioniere di un nuovo modo di fare architettura, innovatore e tradizionale

E' piuttosto interessante analizzare nello specifico, il filo logico su cui si snoda il pensiero architettonico di Antoni Gaudì (1852-1926).

Nelle opere di Gaudì infatti appare evidente come il suo linguaggio viaggi su binari completamente diversi da quelli dei suoi colleghi, in un epoca dove la produzione industriale, unita anche ad un' innovazione del pensiero artistico, stavano letteralmente sovvertendo il modo di fare architettura.

Ebbene proprio questo è il punto; il primo errore, se vogliamo, che si compie nell' analizzare la complessa figura di Gaudì, sta nel definirlo un architetto in senso lato. Antoni Gaudì infatti si colloca nel panorama degli architetti del tempo, come una figura a sé stante, con delle idee proprie solide ed incorrotte, ma allo stesso tempo, nelle forme e nell' utilizzo dei materiali, come nell' approccio stesso alla progettazione di un' edificio, sono in lui riconoscibili caratteri dell' Art Nouveau, dell' Arts & Crafts, come del neogotico (basti pensare alla Sagrada Familia). Insomma, riesce a cogliere caratteri di molte correnti contemporanee assimilandoli e conferendogli un' inconfondibile impronta personale, la stessa che conferisce a tutti gli elementi storicamente definibili "classici", che vengono da lui utilizzati nell' ambito delle sue opere. Cito a questo proposito il colonnato di Park Guell, a Barcellona, con il suo ordine "neo-dorico", in cui, effettivamente possiamo riconoscere tutti gli elementi del più antico tra gli ordini architettonici (vd. foto 1).
Foto 1. L' odine "neo-dorico" di Park guell. Sono chiaramente
visibili l' echino, l' abaco (qui ottagonale), l' architrave, il fregio
a metope e triglifi, con tanto di gutte, di taenia, di via, di geison
e di protomi leonine, 
il tutto interpretato in maniera originalissima, tuttavia corretto 
nell' insieme: infatti, i tre lati dell' ottagono dell' abaco che danno
sull' esterno, hanno ognuno un triglifo nel fregio, come il lato dello
abaco dorico tradizionale aveva un triglifo sopra di esso
(essendo l' unico lato a dare sull' esterno). Qui Gaudì
ha semplicemente triplicato il fronte in funzione dell' abaco ottagonale.

L' atteggiamento di Gaudì dunque è di carattere quasi tributario verso una storia dell' architettura di cui riconosce tappe e sviluppi. E' oltretutto significativo che un architetto che opera a cavallo tra Ottocento e Novecento, in un clima turbolento di nuove idee e nuove correnti, voglia in qualche modo, riconoscere le origini, riconoscere il punto di partenza dell' architettura dell' uomo, e quale migliore citazione se non quella di un ordine dorico, simbolo per eccellenza di architettura del mondo antico?
Sembra oltretutto che Gaudì voglia effettivamente riscoprire il sentimento della simbiosi uomo-materia, quasi come se lì uomo in realtà non debba realmente sentire una forte discrepanza tra fruitore dello spazio e spazio fruito. E' come se in un certo senso, l' architettura del maestro catalano si pieghi al principio vitruviano dell' utilitas, della "funzionalità", per dirla in chiave moderna. A questo scopo la materia sembra come plasmarsi sotto il potere progettuale dell' uomo. La materia viene incontro all' uomo nelle sue esigenze, perseguendo caratteristiche quali l' estremo tentativo di rendere ergonomico e funzionale ogni manufatto dell' architettura, a costo di giungere ad una progettazione altamente specifica (Gaudì giunge a realizzare maniglie partendo da pezzi d' argilla stretti dalla sua mano e utilizzati come modello; alcune sue maniglie infatti hanno addirittura le scanalature per accogliere le dita). Nulla deve essere lasciato al caso, perché un edificio possa vivere come una macchina perfetta qual' è l'uomo. Pertanto si giunge a prendere atto dell' estrema funzionalità delle opere gaudiane. 

Come detto poc' anzi, la materia in questo metodo progettuale, assume forme mai viste prima, riferimenti simbolici, forti citazioni religiose (Gaudì era conosciuto anche per la sua fervente religiosità), tutte sintetizzate in una materia che si pone a servizio del progettista. Gaudì viene definito addirittura un "plasmatore" da Le Corbusier, proprio per la sua attitudine a conferire forme di ogni genere alla materia, pur di ottenere il risultato formale e funzionale desiderato. 
Esempio tipico di tal genere è casa Batllò, un' opera tutta da vivere e tutta da ammirare, in cui persino la luce (attraverso la variazione di tonalità dall' alto verso il basso delle piastrelle che ricoprono il patio, per garantire in tutti i piani un'illuminazione uniforme) viene in un certo senso "domata" dall' architetto e messa al cospetto dell' utente che se ne serve. (vd. foto 2)
Antoni Gaudì, Casa Batllò, patio centrale.
Visibile  il graduale schiarimento delle piastrelle
man mano che si scende così da garantire una 
illuminazione uniforme in tutti i piani.

Casa Batllò è ricchissima di significati, di riferimenti antropomorfici e zoomorfici (la linea di colmo del tetto ricorda la spina dorsale di un drago, solo per fare un esempio, per non parlare della sensazione che si prova, nel patio di essere immersi in una vasca d' acqua), ma è ricca anche di artigianato, di progettazione al dettaglio, seguita passo passo senza lasciare nulla al caso. Tipica è la sensazione di compiutezza che suscita un' opera di Gaudì quando il suo concepimento su carta e la sua esecuzione sono state seguite dal maestro dal principio al compimento.

Il caso della Sagrada Familia è emblematico del contrario, almeno per quanto riguarda l' esterno. Un' opera di cui persino la documentazione progettuale risulta frammentaria e lacunosa. Per un malaugurato incidente, infatti, Antoni Gaudì muore nel 1926, lasciando l' opera in costruzione e mancante di alcune parti da progettare. Il risultato di tale mancanza fu che molti architetti, costretti ad interpretare le intenzioni di Gaudì e, spesso, di sostituirsi a lui in decisioni di vitale importanza, potrebbero aver sviato dal concetto chiave dell' architettura gaudiana, che solo il grande architetto catalano sapeva sintetizzare in maniera inequivocabile. 
Foto 3.
Antoni Gaudì, Sagrada Familia, interno
La basilica è tuttora in costruzione, grazie ai proventi delle migliaia di visite giornaliere e delle donazioni spontanee di persone di buon cuore che vogliono vedere il tempio interamente compiuto. Peccato però che anche queste ultime, avendo pagato l' intervento, hanno la facoltà di decidere sul progetto in maniera personale. Si potrebbe tuttavia affermare, dopo un attenta visita, che l' incidenza di committenti bramosi di lasciare un segno nella magnifica opera, risulta fortunatamente minima, ora che l' interno della basilica è praticamente completo. Per quanto riguarda l' esterno è quasi compiuta la facciata della Passione (la più recente), mentre della facciata principale, di cui ci perviene un modello materico, si stanno appena gettando i pilastri frontali. Anche nella colorazione esterna la basilica sembra evidentemente realizzata in più fasi: il transetto in primis, l' abside, quindi il corpo delle 5 navate con l' immensa cantoria da 1000 posti. 

L' interno della Sagrada Familia è semplicemente mozzafiato (vd. foto 3).
 Non sono presenti affreschi sulle bianche pareti, dal momento che sono le vetrate colorate a dare ai muri la tonalità che gli spetta, grazie all' abbondante passaggio di luce(vd. foto 4).
Foto 4 .
Effetti di luce sulle pareti nude della Sagrada Familia
 I pilastri si dipartono come alberi per poi terminare in volte spigolose ed intricate a mo' di fronde arboree (vd. foto 5), così come tutte le volte delle navate. Il vano absidale rispecchia invece un linguaggio più ortodosso, cosa che lascia perplessi sull' apporto più o meno significativo di Gaudì nella progettazione di questa zona. Cogliamo inoltre evidenti differenze nella controfacciata della Passione e in quella della Natività, quest' ultima dai tratti molto più "gotici" rispetto alla prima. La differenza è notevole e percepibile, come lo è nella cripta che rispecchia le scelte stilistiche della zona absidale. 

E' impressionante, cambiando discorso, constatare come anche nell' adozione di pilastri come quelli della navata centrale, Gaudì abbia voluto in qualche modo citare i grandi pilastri a fascio delle cattedrali gotiche europee, che arrivati nel claristorio si dipartono nei costoloni delle crociere, dunque un' altra citazione storica nascosta da forme innovative. Qui il pilastro, che parte da terra già dotato di nervature, si divide letteralmente in rami, con chiare citazioni di architettura organica e fitomorfica. 

Foto 5.
Antoni Gaudì, Sagrada Familia, particolare dell' incrocio di navate e transetto
Quello che di Gaudì stupisce è il suo bisogno di tornare alla materia, di riportare i vocaboli dell' architettura com' erano a lui giunti, al loro punto d' origine, cosicché le gutte del fregio dorico di Park Guell diventano gocce d' acqua, i pilastri della Sagrada Familia diventano alberi e le volte diventano fronde. Ma quello che ancor più stupisce di Gaudì è il suo estro nel compiere una simile sintesi formale pur restando programmaticamente saldo su concetti storici e linguaggi architettonici definibili "storici". E' quello che si dice un innovatore-conservatore, un "bastian contrario"; in un' epoca in cui l' avanguardia architettonica parlava in linguaggio industriale e semplicistico, Gaudì percorre tutto il cammino della storia dell' architettura completamente a ritroso, tornando alla vera essenza delle cose e alla loro vera forma, come si presentano realmente in natura e come esse hanno ispirato gli architetti dell' antichità.
Antoni Gaudì, Sagrada Familia, facciata della Natività


























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