mercoledì 30 settembre 2015

La posizione del Partenone nel quadro dell' architettura greca con riguardo all' evoluzione dell' ordine dorico in Attica e nelle colonie

Nel panorama dell' architettura greca, in particolare nell' evoluzione dell' ordine dorico, la figura del Partenone (o tempio di Athena Parthenos) si colloca in una posizione alquanto insolita. Sembrerebbe infatti superficiale definire il tempio in questione come un tempio tipicamente "dorico", nel senso stretto del termine, in quanto nel Partenone riscontriamo una serie di soluzioni a problemi presenti in ogni tempio, risolti nella maturità e nella dimestichezza tipica del "fare architettura in Attica". E' dunque sull' Acropoli, a voler restringere ulteriormente il nostro campo d' azione, che il periodo classico dell' architettura (in particolare il V secolo a.C.) ha partorito le sue migliori creazioni, sempre prendendo con le dovute precauzioni l' aggettivo "migliori".

Il tempio di Athena Parthenos fu edificato fra il 447 e il 432 a.C. sulla parte Sud-Est dell' Acropoli, sul terrapieno che si suole chiamare "colmata dei persiani". Al tempo dell' invasione persiana ad Atene infatti, la maggior parte delle opere dell' Acropoli fu praticamente rasa al suolo e tutti i "pezzi" che non erano ormai utilizzabili, vennero impiegati a riempire il terrapieno a sud, utile per acquisire spazio per l' edificazione del tempio. La decisione di ricostruire i monumenti dell' Acropoli venne presa dopo lo scioglimento, promosso da Pericle, del voto di Platea, avvenuto poco dopo l' omonima battaglia (479 a.C.). Tale voto non permetteva la ricostruzione dei monumenti distrutti, proprio a volerli tenere a monito per i posteri, dell' atrocità di tale battaglia.
Dopo le pressioni di Pericle tuttavia, si riuscì a far partire i lavori per la costruzione del Partenone, i quali però miravano all' erezione di un progetto ben più ambizioso. Infatti, prima dell' invasione dei persiani si stava già cominciando a costruire un grande periptero di 6*16 colonne con edificio centrale analogo a quello del nuovo Partenone. Nel nuovo progetto tuttavia il numero di colonne cambia, peraltro non in maniera proporzionale tra lato e lato, ma semplicemente con l' aggiunta di due colonne sul lato breve e di una sul lato lungo (8*17), conformandosi così al numero canonico di colonne, che prevede sul lato lungo il doppio delle colonne del lato breve, più una.
Pianta del secondo Partenone (sopra), sovrapposta con
quella del vecchio tempio (sotto, in arancio)
Il nuovo Partenone dunque debordava dallo stilobate del vecchio progetto e tralaltro fu necessario utilizzare colonne di diametro maggiore. Due studiosi, Dinsmoor e Hill, hanno rinvenuto nella parte a nord del Partenone, verso l' agorà, rocchi di colonne semilavorati, ovvero le cui scanalature erano state imbastite fino ad una certa altezza. Non sapendo quanti progetti si siano avvicendati prima dell' inaugurazione del Partenone pericleo, non si può affermare con certezza a quale progetto appartengano questi rocchi (si parla addirittura di due progetti prima dell' attuale tempio). Si sa però, che rocchi analoghi furono riutilizzati da Ictino per la realizzazione del fronte esastilo del pronaos e dell' opistodomo del nuovo Partenone, essendo necessari, per la peristasi, rocchi molto più grandi.
Il tempio dunque può dirsi periptero octastilo con edificio centrale esastilo anfiprostilo costituito da pronaos, naos, parthenon ed opistodomo.
Il naos è certamente caratterizzato da una notevole spazialità, che investe l' innovativa sperimentazione del tipo a tre navate divise da un doppio ordine architravato di colonne doriche (10*5) disposte a "pigreco" a voler racchiudere o meglio "abbracciare" la statua criselefantina fidiaca di Athena Parthenos; la navata centrale in particolar modo è larga 10,60 m, superata solo dai naos dei grandi dipteri della Ionia d' Asia. In altri templi nella madrepatria e nelle colonie (Egina, Olimpia, Paestum, Siracusa) il tipo a doppio ordine fu sperimentato, ma senza arrivare ad un' agilità spaziale tale da lodare e raccomandare questo tipo di soluzione. Nel Partenone invece il doppio ordine di colonne conferisce ulteriore solennità alla cella, esaltando la sua centralità e ponendo la figura di Athena come davanti ad una quinta di colonne che ne sottolinea l' importanza, pur non soffocando i volumi come ad Egina od Olimpia. L' ambiente posteriore al naos è il Parthenon, le cui dimensioni risultano quanto mai analoghe a quelle dell' edificio centrale dei Propilei realizzati da Mnesicle tra il 437 e il 431 a.C. Come nei Propilei, all' interno di questo ambiente troviamo colonne ioniche, ora non più in loco, la cui struttura era sicuramente analoga a quelle dei Propilei. Erano nel Parthenon in numero di quattro, a dividere l' ambiente in nove campate identiche.
A questo punto viene da chiedersi perché, in un tempio che avrebbe dovuto fissare il picco di massima evoluzione dell' ordine dorico in Attica, si opta sulla scelta dell' ordine ionico in un ambiente peraltro unico nel suo genere (perché non è né un adyton, né un opistodomo) come il Parthenon. La risposta è, direi tutt' altro che casualmente, riscontrabile ancora nei Propilei, all' interno dei quali, tra due diaframmi di ordine dorico, si stagliano colonne ioniche del tutto analoghe a quelle del Parthenon. Le colonne ioniche, differentemente da quelle doriche hanno la possibilità di variare la loro altezza senza dover allargare in maniera troppo "massiccia" il diametro all' imoscapo. Essendo colonne con proporzione altezza/diametro più slanciata rispetto a quella del dorico, erano dunque più adatte per sostenere soffitti piuttosto alti, come appunto, quelli del Parthenon o quelli dei Propilei.

Vorrei dunque che ci si sposti temporaneamente sul fregio di tale tempio e notare come in questo caso anche il principio/problema del conflitto angolare abbia trovato soluzione in accorgimenti che vanno oltre la sperimentazione dorica operata fino ad allora.

Mentre infatti, nella maggior parte dei templi dorici la colonna angolare si avvicinava leggermente alla sua vicina per stare in asse con l' architrave, con conseguente disassamento del triglifo dall' asse colonna, qui non solo la colonna si avvicina quanto necessario alle sue vicine (trattasi infatti di colonne d' angolo), ma lo fa più del dovuto. A fronte dei 30 cm ca. richiesti per risolvere il conflitto angolare, detta colonna rientra verso le sue vicine di ben 61,5 cm. Ne consegue che il triglifo subisce un disassamento evidentissimo rispetto alla colonna angolare ed un conseguente sfasamento del fregio rispetto alle colonne. Questo disassamento viene tuttavia "distribuito" scemando fino a tornare nullo nell' interasse centrale, per poi aumentare gradualmente man mano che ci si allontana verso le colonne periferiche. Si era riusciti dunque a raccordare fregio e peristasi più di quanto non si fosse mai riusciti a fare prima, perché ora non era una sola colonna, o un solo triglifo ad essere coinvolto, bensì tutto il fregio, che agisce come conseguenza all' abnorme contrazione angolare della colonna periferica. Ma la domanda è questa: perché contrarre l' ultimo interasse di una misura tanto maggiore di quella necessaria? A questo quesito si risponderà a breve.
E' significativo ricordare poi che il fregio del pronaos e dell' opistodomo sono continui,ma presentano sotto la tenia, regulae e guttae in asse con le sei colonne del fronte.
Atene, Partenone, prospetto frontale, lato Ovest. Si può apprezzare, con fine spirito d' osservazione il disassamento del fregio
rispetto alla peristasi di cui poc' anzi si discorreva, nonché la sensibilissima contrazione angolare della prima ed ottava colonna.

Si concentri ora tutta la nostra attenzione sulle colonne doriche della peristasi. Non abbiamo bisogno di univoci dati numerici per enuclearne le particolarità più rilevanti. Sono alte circa 10,4 m, 5,48 diametri inferiori (5,47 per i Propilei) e hanno un' entasi pari a circa 1/600 di diametro, ovvero circa 1,75 cm (su questa misura torneremo più in là). Il numero di scanalature si uniforma a 20 e il rapporto tra l' altezza dell' abaco e quella dell' echino si è stabilizzato sull' unità. Tralaltro ora più che mai negli esempi più significativi di dorico dell' Attica, la plasticità di un echino rigonfio e schiacciato nelle sue prime istanze, si esaurisce in queste colonne, confluendo in una matrice più regolare e diretta, assimilabile ad un tronco di cono.
Atene, Partenone, Particolare del capitello di una colonna
della peristasi
Oltretutto si notano degli anuli in numero di 5 appena sopra l' attacco dell' echino al fusto.

Come detto poc' anzi, questo pensiero non è volto ad enunciare dati numerici reperibili pressoché ovunque da fonti più o meno attendibili, bensì di conferire al punto di vista con il quale si scruta questa meraviglia architettonica, un connotato anche scultoreo, motivando tale approccio nelle parole che seguono.

Come avete potuto leggere poco fa è stato posto il quesito sul perché fosse così contratto l' interasse angolare. E' certamente un dubbio che risulta analogo alla faccenda dell' entasi, che pur tuttavia si distingue per la sua minutezza, ma è anche analogo alla meraviglia che si prova nell' attestare la  misera curvatura che subisce lo stilobate ai lati lunghi (11 cm) e corti (6 cm), misera in apparenza, se raffrontata con le colossali dimensioni dell' intero complesso.
Quello che distingue il progetto di Ictino e Callicrate dagli altri progetti dell' Attica e delle colonie, è la disposizione a dare fortissimo risalto ad una curvatura di 6 cm dello stilobate, oppure ad un' entasi di 1,75 cm, perché ivi collocati ad assolvere un compito ulteriore a quello che avevano svolto fino ad allora. La curvatura dello stilobate trova ragion d' essere nell' ampia gamma di correzioni ottiche apportate al Partenone, tra le quali si rammentano l' inclinazione delle colonne angolari di 10 cm verso l' interno e quella delle altre colonne pari a 7 cm.
L' esiguità di un' entasi così poco pronunciata manifesta, e qui apriamo il nostro ragionamento, il punto di arrivo della sperimentazione dorica, il momento culmine, dopo il quale tutto il resto è imitazione o percorrenza ripetuta di sentieri già esplorati e battuti da altri. Questa summa della perizia progettuale degli architetti è certo riscontrabile anche nella minima curvatura dello stilobate, che però presa singolarmente è un aspetto non nuovo, ma contestualizzata in una generale "distorsione" dello schema retto del tempio come tutti ce lo immaginiamo, rappresenta maturità e perizia nella gestione del campo delle correzioni ottiche.
Tuttavia giungiamo al culmine del nostro climax percettivo proprio nell' eccessiva contrazione angolare dell' interasse periferico. E' qui che finalmente la colonna angolare assume un' identità, un sentimento di appartenenza all' organismo "tempio" e, proprio mossa dall' istinto di appartenenza, anela, in parte inclinandosi, in parte avvicinandosi in maniera evidente, quasi sfacciata, all' unione spaziale della peristasi con l' edificio centrale, cercando di annullare il divario creato dalla presenza dello pteron, che qui costituisce un vero e proprio "vuoto" da superare, uniformando l' unità materica risultante dalla presenza dell' edificio centrale dietro le colonne dalla seconda alla settima, che va di poco diminuendo all' allontanarsi dal centro, verso le colonne angolari, pur tuttavia non sgretolandosi del tutto come poteva accadere per interassi angolari non molto contratti o per templi dipteri, ad esempio.
Allora è proprio vero che in realtà da quelli che possono essere definiti "errori" si va invece ad apprendere quanto un oggetto possa essere unico e degno di nota.
L' approccio scultoreo a cui si alludeva in precedenza è qui adoperato come un "terzo occhio", che va dunque oltre la semplice progettazione architettonica formata da struttura e decorazione, oltre persino l' univocamente determinata "triade vitruviana". Qui si parla un altra lingua, si penserebbe, qui l' ordine dorico è arrivato a tanta maturità e tanto precocemente, da consentire agli architetti di sperimentare novità e singolarità mai riscontrate prima, applicando principi non per forza riconducibili alla sfera dell' architettura, come ad esempio la scultorea "legge dei contrapposti", della quale può essere avvertita un' applicazione insistente nel Partenone.
La mentalità parzialmente scultorea con cui si giunse alla realizzazione del Partenone fà di questo la miglior espressione dell' ordine dorico (pur non canonica, in quanto risente già di influssi ionici, che si trovano qui piuttosto costretti, in un periptero di impianto ancora non definibile a colpo d' occhio come i grandi dipteri asiatici con impianto insistente su maglie regolari), e più generalmente l' espressione massima del topos del tempio dorico, pur avendo come detto prima piccole licenze; ma d' altra parte, è lo stesso criterio per cui definiamo il colonnato di piazza S. Pietro del Bernini, il "portico" per eccellenza (massima manifestazione del topos del portico colonnato), seppure anche in questo troviamo considerevoli deroghe all' applicazione ortodossa dell' ordine dorico trabeato come lo s' intendeva nella trattatistica del Cinque-Seicento.

Se dunque si dovessero collocare in termini di rigore stilistico il Colonnato ed il Partenone, ci si troverebbe spaesati nel dare conto alle innumerevoli citazioni di più scuole di pensiero in entrambe le opere, pur assumendo però che cotali opere appartengono nella loro unicità ad una dimensione progettuale architettonica che annovera pochissimi esempi ascrivibili a diverse epoche, avendo segnato, che piaccia o meno, una tappa ed un momento catartico nell' applicazione delle regole dell' epoca, evidenziando maturità, forte personalità nell' applicazione del linguaggio scelto, ma anche spirito d' innovazione e di inventiva aperto alla novità, quella vera, che non stravolge il vecchio valorizzando il nuovo, ma aggiunge il nuovo in lievi citazioni che valorizzano il vecchio.

martedì 1 settembre 2015

Antoni Gaudì, pioniere di un nuovo modo di fare architettura, innovatore e tradizionale

E' piuttosto interessante analizzare nello specifico, il filo logico su cui si snoda il pensiero architettonico di Antoni Gaudì (1852-1926).

Nelle opere di Gaudì infatti appare evidente come il suo linguaggio viaggi su binari completamente diversi da quelli dei suoi colleghi, in un epoca dove la produzione industriale, unita anche ad un' innovazione del pensiero artistico, stavano letteralmente sovvertendo il modo di fare architettura.

Ebbene proprio questo è il punto; il primo errore, se vogliamo, che si compie nell' analizzare la complessa figura di Gaudì, sta nel definirlo un architetto in senso lato. Antoni Gaudì infatti si colloca nel panorama degli architetti del tempo, come una figura a sé stante, con delle idee proprie solide ed incorrotte, ma allo stesso tempo, nelle forme e nell' utilizzo dei materiali, come nell' approccio stesso alla progettazione di un' edificio, sono in lui riconoscibili caratteri dell' Art Nouveau, dell' Arts & Crafts, come del neogotico (basti pensare alla Sagrada Familia). Insomma, riesce a cogliere caratteri di molte correnti contemporanee assimilandoli e conferendogli un' inconfondibile impronta personale, la stessa che conferisce a tutti gli elementi storicamente definibili "classici", che vengono da lui utilizzati nell' ambito delle sue opere. Cito a questo proposito il colonnato di Park Guell, a Barcellona, con il suo ordine "neo-dorico", in cui, effettivamente possiamo riconoscere tutti gli elementi del più antico tra gli ordini architettonici (vd. foto 1).
Foto 1. L' odine "neo-dorico" di Park guell. Sono chiaramente
visibili l' echino, l' abaco (qui ottagonale), l' architrave, il fregio
a metope e triglifi, con tanto di gutte, di taenia, di via, di geison
e di protomi leonine, 
il tutto interpretato in maniera originalissima, tuttavia corretto 
nell' insieme: infatti, i tre lati dell' ottagono dell' abaco che danno
sull' esterno, hanno ognuno un triglifo nel fregio, come il lato dello
abaco dorico tradizionale aveva un triglifo sopra di esso
(essendo l' unico lato a dare sull' esterno). Qui Gaudì
ha semplicemente triplicato il fronte in funzione dell' abaco ottagonale.

L' atteggiamento di Gaudì dunque è di carattere quasi tributario verso una storia dell' architettura di cui riconosce tappe e sviluppi. E' oltretutto significativo che un architetto che opera a cavallo tra Ottocento e Novecento, in un clima turbolento di nuove idee e nuove correnti, voglia in qualche modo, riconoscere le origini, riconoscere il punto di partenza dell' architettura dell' uomo, e quale migliore citazione se non quella di un ordine dorico, simbolo per eccellenza di architettura del mondo antico?
Sembra oltretutto che Gaudì voglia effettivamente riscoprire il sentimento della simbiosi uomo-materia, quasi come se lì uomo in realtà non debba realmente sentire una forte discrepanza tra fruitore dello spazio e spazio fruito. E' come se in un certo senso, l' architettura del maestro catalano si pieghi al principio vitruviano dell' utilitas, della "funzionalità", per dirla in chiave moderna. A questo scopo la materia sembra come plasmarsi sotto il potere progettuale dell' uomo. La materia viene incontro all' uomo nelle sue esigenze, perseguendo caratteristiche quali l' estremo tentativo di rendere ergonomico e funzionale ogni manufatto dell' architettura, a costo di giungere ad una progettazione altamente specifica (Gaudì giunge a realizzare maniglie partendo da pezzi d' argilla stretti dalla sua mano e utilizzati come modello; alcune sue maniglie infatti hanno addirittura le scanalature per accogliere le dita). Nulla deve essere lasciato al caso, perché un edificio possa vivere come una macchina perfetta qual' è l'uomo. Pertanto si giunge a prendere atto dell' estrema funzionalità delle opere gaudiane. 

Come detto poc' anzi, la materia in questo metodo progettuale, assume forme mai viste prima, riferimenti simbolici, forti citazioni religiose (Gaudì era conosciuto anche per la sua fervente religiosità), tutte sintetizzate in una materia che si pone a servizio del progettista. Gaudì viene definito addirittura un "plasmatore" da Le Corbusier, proprio per la sua attitudine a conferire forme di ogni genere alla materia, pur di ottenere il risultato formale e funzionale desiderato. 
Esempio tipico di tal genere è casa Batllò, un' opera tutta da vivere e tutta da ammirare, in cui persino la luce (attraverso la variazione di tonalità dall' alto verso il basso delle piastrelle che ricoprono il patio, per garantire in tutti i piani un'illuminazione uniforme) viene in un certo senso "domata" dall' architetto e messa al cospetto dell' utente che se ne serve. (vd. foto 2)
Antoni Gaudì, Casa Batllò, patio centrale.
Visibile  il graduale schiarimento delle piastrelle
man mano che si scende così da garantire una 
illuminazione uniforme in tutti i piani.

Casa Batllò è ricchissima di significati, di riferimenti antropomorfici e zoomorfici (la linea di colmo del tetto ricorda la spina dorsale di un drago, solo per fare un esempio, per non parlare della sensazione che si prova, nel patio di essere immersi in una vasca d' acqua), ma è ricca anche di artigianato, di progettazione al dettaglio, seguita passo passo senza lasciare nulla al caso. Tipica è la sensazione di compiutezza che suscita un' opera di Gaudì quando il suo concepimento su carta e la sua esecuzione sono state seguite dal maestro dal principio al compimento.

Il caso della Sagrada Familia è emblematico del contrario, almeno per quanto riguarda l' esterno. Un' opera di cui persino la documentazione progettuale risulta frammentaria e lacunosa. Per un malaugurato incidente, infatti, Antoni Gaudì muore nel 1926, lasciando l' opera in costruzione e mancante di alcune parti da progettare. Il risultato di tale mancanza fu che molti architetti, costretti ad interpretare le intenzioni di Gaudì e, spesso, di sostituirsi a lui in decisioni di vitale importanza, potrebbero aver sviato dal concetto chiave dell' architettura gaudiana, che solo il grande architetto catalano sapeva sintetizzare in maniera inequivocabile. 
Foto 3.
Antoni Gaudì, Sagrada Familia, interno
La basilica è tuttora in costruzione, grazie ai proventi delle migliaia di visite giornaliere e delle donazioni spontanee di persone di buon cuore che vogliono vedere il tempio interamente compiuto. Peccato però che anche queste ultime, avendo pagato l' intervento, hanno la facoltà di decidere sul progetto in maniera personale. Si potrebbe tuttavia affermare, dopo un attenta visita, che l' incidenza di committenti bramosi di lasciare un segno nella magnifica opera, risulta fortunatamente minima, ora che l' interno della basilica è praticamente completo. Per quanto riguarda l' esterno è quasi compiuta la facciata della Passione (la più recente), mentre della facciata principale, di cui ci perviene un modello materico, si stanno appena gettando i pilastri frontali. Anche nella colorazione esterna la basilica sembra evidentemente realizzata in più fasi: il transetto in primis, l' abside, quindi il corpo delle 5 navate con l' immensa cantoria da 1000 posti. 

L' interno della Sagrada Familia è semplicemente mozzafiato (vd. foto 3).
 Non sono presenti affreschi sulle bianche pareti, dal momento che sono le vetrate colorate a dare ai muri la tonalità che gli spetta, grazie all' abbondante passaggio di luce(vd. foto 4).
Foto 4 .
Effetti di luce sulle pareti nude della Sagrada Familia
 I pilastri si dipartono come alberi per poi terminare in volte spigolose ed intricate a mo' di fronde arboree (vd. foto 5), così come tutte le volte delle navate. Il vano absidale rispecchia invece un linguaggio più ortodosso, cosa che lascia perplessi sull' apporto più o meno significativo di Gaudì nella progettazione di questa zona. Cogliamo inoltre evidenti differenze nella controfacciata della Passione e in quella della Natività, quest' ultima dai tratti molto più "gotici" rispetto alla prima. La differenza è notevole e percepibile, come lo è nella cripta che rispecchia le scelte stilistiche della zona absidale. 

E' impressionante, cambiando discorso, constatare come anche nell' adozione di pilastri come quelli della navata centrale, Gaudì abbia voluto in qualche modo citare i grandi pilastri a fascio delle cattedrali gotiche europee, che arrivati nel claristorio si dipartono nei costoloni delle crociere, dunque un' altra citazione storica nascosta da forme innovative. Qui il pilastro, che parte da terra già dotato di nervature, si divide letteralmente in rami, con chiare citazioni di architettura organica e fitomorfica. 

Foto 5.
Antoni Gaudì, Sagrada Familia, particolare dell' incrocio di navate e transetto
Quello che di Gaudì stupisce è il suo bisogno di tornare alla materia, di riportare i vocaboli dell' architettura com' erano a lui giunti, al loro punto d' origine, cosicché le gutte del fregio dorico di Park Guell diventano gocce d' acqua, i pilastri della Sagrada Familia diventano alberi e le volte diventano fronde. Ma quello che ancor più stupisce di Gaudì è il suo estro nel compiere una simile sintesi formale pur restando programmaticamente saldo su concetti storici e linguaggi architettonici definibili "storici". E' quello che si dice un innovatore-conservatore, un "bastian contrario"; in un' epoca in cui l' avanguardia architettonica parlava in linguaggio industriale e semplicistico, Gaudì percorre tutto il cammino della storia dell' architettura completamente a ritroso, tornando alla vera essenza delle cose e alla loro vera forma, come si presentano realmente in natura e come esse hanno ispirato gli architetti dell' antichità.
Antoni Gaudì, Sagrada Familia, facciata della Natività


























L' influenza della critica sulla visione dello stile gotico nel Rinascimento. Perché fu abbandonato?

Nel quadro del basso Medioevo, in quasi tutta l'Europa si manifesta un nuovo linguaggio, figlio illegittimo del predecessore Romanico, e cioè il Gotico. Tutti sappiamo in maniera più o meno specifica, le caratteristiche salienti di questo magnifico stile, anche perché comunque i monumenti costruiti seguendo lo stile Gotico hanno acquisito una fama al livello mondiale più unica che rara.
Tuttavia, la trattatistica del Cinquecento-Seicento definisce il Gotico come un ordine barbaro, un ordine scevro da ogni convenzione stipulata con l' architettura classica, l' architettura degli ordini architettonici per capirci. Un ordine che è risultato di un esperienza architettonica estranea alle convenzioni dell' Europa mediterranea, culla fino alla decadenza dell' Impero Romano, di canoni architettonici ancora incarnati negli ordini classici.
Prendiamo dunque per assodata un' asserzione, secondo la quale "l' architettura gotica trova le sue radici nelle etnie del nord, nei cosiddetti popoli barbari, che non avendo esperienza sufficiente e cultura storica, hanno imposto quest' architettura, che confrontata con quella classica, può essere definita un' architettura di forme pure, ma completamente fuori dalla sfera classica in termini formali".
Questa è un'affermazione da prendere con le molle perché tutti sappiamo che anche nel Gotico è presente una componente classica, dettata dei modelli in pianta più che di quelli in alzato, e dal decorativismo delle membrature, che talvolta blandisce le rive di un classicismo fortemente sintetizzato a forme pure.
Ma perché? Perché la critica è arrivata in quel periodo a disprezzare ed ostracizzare così tanto lo stile Gotico, come fecero del resto gli architetti del Rinascimento?
Tale fu l' entusiasmo della riscoperta degli ordini classici ai tempi di Brunelleschi, che il Gotico vene subito accantonato. Filippo ed il suo amico Donatello, recatisi a Roma in età giovanile, disegnarono schizzi di colonne, di ordini classici, di piante, e ne fecero esperienza pratica nelle creazioni future. Fu immediato il successo, vedere incarnati di nuovo i canoni proposti da Vitruvio, fino a quel momento ritenuti utopici e misteriosi fu qualcosa di assolutamente incomparabile, un traguardo fantastico. Ma cosa causò realmente questa presa di posizione repentina? A cosa portò questo cambio fulminante di linguaggio? Ad un cronico rifiuto verso tutto ciò che separava Roma antica dal Rinascimento, ovvero l' arte medievale in tutte le sue manifestazioni. Basti pensare a Vasari, che diede al termine "Gotico" un' accezione barbara (il nome deriva dal popolo dei Goti). E' emblematica infatti l' abissale discrepanza che va a crearsi tra personalità come quella di Arnolfo di Cambio, Come quella di Giotto e Cimabue, e persone come Brunelleschi, Donatello o Masaccio, con riguardo agli elementi stilistici adottati.
Sfortunatamente l' entusiasmo fu tale che si adottò quasi unanimemente il nuovo linguaggio, che produsse, almeno da parte di Brunelleschi, effetti impensabili, di cui ora non mi soffermo a parlare.
Tuttavia è da sottolineare una posizione molto importante. In un quadro di sviluppo della storia dell' architettura, intesa nel significato eclettistico-storicista del termine, come storia del popolo che la formula, sarebbe stato più corretto definire il Gotico e il Romanico come stili moderni, visto che gli ordini classici erano stati accantonati di pari passo con la caduta dell' Impero. L' adozione del Gotico in Italia (gotico cistercense, gotico fiorentino con s. Maria Novella o S. Croce) era quanto mai naturale e dettata dal normale avvicendarsi e susseguirsi dei popoli. Fu dunque accolta con entusiasmo la reintroduzione degli ordini classici, solo per rievocare la solennità e la potenza dell'Impero, ma anche e forse soprattutto, perché gli ordini classici erano ben definiti da un trattato, ovvero il De Architectura di Marco Vitruvio Pollione. La predominanza del Gotico fu spazzata via perché non era perorata da nessuna attività trattatistica, essendo specchio di un popolo inizialmente barbaro e rude.
Ritengo tuttavia che l' architettura Gotica, proprio per questa sua assenza di regole, di canoni, sia stata quella che ha subito la maggiore crescita, il maggior sviluppo, nonché quella più versatile e passibile di adattamenti e miglioramenti, cosa che negli ordini classici, proprio perché ormai regolamentati nero su bianco, era diventata impossibile.
Esprimo dunque un parere, secondo cui l' architettura Gotica, pur essendo inizialmente entrata con prepotenza nel panorama stilistico europeo, abbia poi corso di pari passo con tutti i popoli che l' hanno riconosciuta per l' erezione di templi religiosi (si ricordino le numerose cattedrali), infatti, l' architettura gotica per la sua preponderante altezza degli edifici, rispecchia la visione religiosa del popolo del periodo medievale, intesa come elevazione della preghiera e dell' anima verso il regno di Dio, verso il Paradiso. Questo quadro lascia trasparire l' iniziale incompatibilità dell' architettura classica con il popolo europeo, ormai abituato a vedere, in poche parole, archi rampanti, guglie, grandi vetrate e volte a crociera. Oltretutto, l' architettura classica (intendendo con "classica" l' architettura degli ordini architettonici), rispecchia il culto per delle divinità esterne al Cristianesimo, dunque il fenomeno che si creò, dal punto di vista filologico fu simile all' adozione di piante disegnate a guisa di moschee per costruire chiese cattoliche, con tanto di coolonne, rivestimenti e decorazioni in stile musulmano. Dunque, se prima l' architettura gotica venne vista come una sorta di pesce fuor d' acqua, forzatamente imposta alle etnie come architettura europea, ora lo stesso effetto si ripete con quella rinascimentale, dovuta però non più al cambio del popolo dominante, ma ad una scelta consapevole degli architetti del tempo, a seguito di una scoperta. A far abituare i popoli, tra cui il sensibile popolo di Firenze, ci penserà tuttavia il gradimento e l' estasi di fronte alla perfezione dei progetti Brunelleschiani.
La storia e l' abitudine ci lasciano appropriare anche di ciò che non ci appartiene, identificandolo come nostro solo perché è stato riscoperto da noi. Tuttavia, proprio per questa polivalenza temporale ed etnica, gli ordini architettonici sono definibili classici, perché incarnano l' elemento congiungente di tante tendenze, rappresentate da ferree regole stilistiche dove poi, in un modo o nell' altro, si va sempre a ricadere.

La cattedrale di Chartres, pioniera di un nuovo gotico, ora sotto un controverso restauro

Chartres, 1260. Alla presenza del re Luigi IX, dopo numerosi incendi e ricostruzioni viene consacrato uno degli esempi più maturi e riusciti dell' architettura gotica. La cattedrale di Chartres.

Un edificio che alla complessità della sua pianta, che di molto differisce dalle sue precedenti, come ad esempio a Laon, a Noyon e a Parigi, contrappone, in alzato, la vera e propria definizione di un "tipo" (vd. foto), che verrà in seguito emulato, ripetuto, come nel caso di Amiens, che peraltro ha una pianta non di molto dissimile a questa. Enormi archi ogivali a dividere le navate, poi un livello di triforio cieco (praticamente ciò che restava del concetto di "matroneo"), dunque le immense vetrate, alte ben 14 m (come i rosoni), divise in quattro parti e ornate da una finestra circolare polilobata, definita più appropriatamente "tracery").
L' alzato della cattedrale di Chartres sarà quindi quel modello, quel canone che da quel momento in poi verrà ripetuto, o quanto meno sempre oggetto di un occhio di riguardo (ancora una volta cito Amiens). La soluzione dell' alzato poi varia nel coro, per la presenza di altre due navate che portano a 5 il numero totale di navate oltre il transetto.
Altra grande concezione nella progettazione della cattedrale di Chartres è cosiddetto "pilastro incantonato", un tipo di pilastro adottato per dividere le navate, che vede in pianta un quadrato ruotato di 45° con agli angoli delle colonnine cilindriche che si dipartono poi negli archi, nelle volte e così via.

 Anche questa idea viene spesso emulata, quale canone di compiutezza e sintesi massima del linguaggio gotico che, fino a quel momento aveva visto proporre tanti modelli, ma pochi seguaci.
Ora la cattedrale di Chartres sta subendo un restauro, o per meglio dire, una pulitura dell' interno. Se prima questo edificio era a tutti noto per l' atmosfera cupa e misteriosa, ma allo stesso tempo misticamente ieratica e divina che suscitava, per il colore scuro delle pietre, mai ripulite finora (dunque originali), ora la cattedrale sembra uno di quegli scopiazzamenti neogotici insignificanti caratterizzati da un uso smodato degli elementi gotici e da un uso di pietra molto chiara che infonde quasi un' atmosfera di parata circense. A dire il vero, la cattedrale di Chartres sta diventando rosa, almeno nelle volte. E' stata letteralmente sbiancata da quasi un millennio di storia. La stessa Madonna di Chartres, famosa per la sua colorazione nera, ora è stata anch' essa sbiancata assumendo le sembianze di una bambola di porcellana.

E' nostro dovere sapere cosa sta avvenendo a Chartres, quanta storia si sta buttando a mare, sul rifiuto di conservazione di fronte al quale il buon Viollet-Le-Duc avrebbe senz' altra esitazione storto il naso.
Torneremo comunque a parlare presto di questo meraviglioso esempio di gotico piuttosto maturo in successivi articoli.